“Uno per tutti, tutti per uno!” – Palazzo Altemps, il Museo delle Terme, Palazzo Massimo e il Museo della Crypta Balbi sono le quattro sedi che formano il caleidoscopio Museo Nazionale Romano: ognuna ha una sua specifica personalità.
L’elegante e aristocratico Palazzo Altemps, a pochi minuti da Piazza Navona, racconta oggi la storia del collezionismo. A lungo gli Altemps vissero in questi ampi saloni, almeno fino a quando la proprietà passò in eredità a Giulio Hardouin, padre della duchessina Maria che nel 1883 sposò, nella chiesa di S. Aniceto a Palazzo Altemps, il poeta, drammaturgo, politico e patriota Gabriele D’Annunzio.
Oggi le collezioni Altemps, Boncompagni Ludovisi, Mattei, Del Drago, la raccolta archeologica dell’eccentrico Evan Gorga d’inizio Novecento, con capolavori appartenuti un tempo a raccolte nobiliari e oggi di proprietà statale, sono sistemati in queste sale, nei corridoi e nelle scalinate che già nel Cinquecento facevano da scenografia per una vasta collezione di scultura antica.
Per un tuffo tra le epigrafi, ci spostiamo alle Terme di Diocleziano, costruite alla fine del III secolo e oggi ancora davvero ben conservate. Con una collezione di reperti della fase protostorica del Lazio Antico e circa ventimila testi incisi su vari supporti, le Terme consentono di abbracciare, con un unico sguardo, una delle più ricche e importanti raccolte di iscrizioni al mondo.
Sui resti archeologici delle strutture termali più grandi di Roma antica, usate per anni come cava di materiale da costruzione, nei secoli è nata nuova vita.
Michelangelo stesso, quando a metà del Cinquecento Papa Pio IV volle trasformare le terme in un complesso religioso, fu incaricato dei lavori. Il frigidarium fu trasformato nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli e, poco più tardi, venne costruita la Certosa. Affacciarsi sul suo Chiostro maggiore, uno dei più ampi d’Italia, è un piacere che coinvolge tutti i sensi: siamo nel pieno centro di Roma, immersi in un giardino di palme e cipressi, delimitati e protetti da 100 colonne monolitiche di travertino.
Per scoprire l’atmosfera, la storia e le ricchezze degli scavi archeologici fatti a Roma sul finire dell’Ottocento, entriamo a Palazzo Massimo. A pochi passi dai treni in arrivo e partenza dalla stazione Termini, centinaia di sculture, rilievi, bronzi, affreschi, ritratti, mosaici, stucchi e sarcofagi si conservano nelle sue sale.
Costruito tra il 1883 e il 1887 dal padre gesuita Massimiliano Massimo, espone in quattro piani alcuni tra i maggiori capolavori dell’intera produzione artistica del mondo romano. Uomini barbuti, filosofi e matrone, ritratti nelle loro espressioni più personali, occupano il primo piano, all’ingresso del museo. Poco oltre, i Fasti Prenestini ci ricordano la suddivisione dell’anno in 365 giorni. Divinità in marmo, sarcofagi, statue di imperatori e atleti ci aspettano al primo piano e poi, ancora a salire, coloratissimi mosaici di ville e palazzi imperiali. Ma per scoprire tesori di piccole o addirittura minuscole dimensioni, dobbiamo scendere nel seminterrato, dove nel buio delle sale, brillano le vetrine con le collezioni numismatiche.
Modernissimo nella sua concezione, il Museo della Crypta Balbi è ancora parte del Museo Nazionale Romano. Nato per tenere insieme sguardi e professionalità differenti, al servizio di una ricostruzione storico-archeologica complessa e coerente, offre un’esperienza di immediato impatto: le vetrine e gli allestimenti sono costruiti per vivere un viaggio nel tempo coinvolgente e di grande rigore scientifico.
Il Museo racconta e conserva al suo interno le tracce delle strutture, degli edifici e dei monumenti che si stratificarono nell’area, al di sopra del portico del Teatro di Balbo e della Porticus Minucia Frumentaria. In un lungo racconto che arriva ai nostri giorni, il visitatore vede sotto i suoi occhi le strutture di età romana trasformarsi nei secoli in complessi fortificati e poi nelle abitazioni altomedievali e medievali dei mercanti. Nel IX secolo, la chiesa di Santa Maria Domine Rose occupa la scena per lasciare il posto, qualche secolo più tardi, al complesso di Santa Caterina dei Funari, con uno stenditoio e una lavanderia a disposizione, dove potevano trovare accoglienza le monache e le zitelle.
Ma la storia che questo isolato di Roma rivela non si chiude con i secoli passati: il museo stesso, con le sue sale, gli espositori, le ricostruzioni tridimensionali e gli stessi visitatori, è parte della vita e del continuo riuso di spazi e materiali.
Abbiamo camminato a lungo, parlato e riflettuto in mille direzioni: adesso possiamo salutarci. Alla prossima!
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archeologia…
ma non solo!
poco
impegnativo